Imparare ad abbandonarsi a occhi chiusi: una fenomenologia dell'esperienza spirituale nell'arte di James Turrell

Riferendoci a James Turrell, dobbiamo chiederci come si estrinsechi l'analogia tra l'esperienza estetica e l'esperienza religiosa. Didi-Huberman parla di «camminare nel deserto» ovvero «camminare nell'assenza», in cui il vedere rimanda a un non-vedere. Turrell invece parla del so...

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Bibliographic Details
Main Author: Schlobitten, Yvonne Dohna (Author)
Format: Electronic Article
Language:Italian
Check availability: HBZ Gateway
Fernleihe:Fernleihe für die Fachinformationsdienste
Published: Ed. Pontificia Univ. Gregoriana 2016
In: Gregorianum
Year: 2016, Volume: 97, Issue: 4, Pages: 761-776
Online Access: Volltext (lizenzpflichtig)
Description
Summary:Riferendoci a James Turrell, dobbiamo chiederci come si estrinsechi l'analogia tra l'esperienza estetica e l'esperienza religiosa. Didi-Huberman parla di «camminare nel deserto» ovvero «camminare nell'assenza», in cui il vedere rimanda a un non-vedere. Turrell invece parla del sogno, dove la visione avviene con gli occhi chiusi: un cieco che cerca, una «passività attiva». In questo senso errare porta a una esperienza estetica come trasformazione creativa. Turrell propone così una pedagogia del reimparare a vedere, nel senso di una fenomenologia dell'esperienza estetica come è stata elaborata nell'opera di Merleau-Ponty, che sentiamo di poter definire a pieno titolo un esercizio spirituale. Possiamo esprimere questa partecipazione sensibile allo spazio come luogo liturgico. Bonaccorso parla dell'originale dimensione simbolica che determina il modo specifico in cui possiamo abitare lo spazio stesso, in cui ci confrontiamo con uno spazio utopico, eteropico e teleotopico, secondo le tre modalità dell'esperienza specificamente umana: il rapporto interiore in se stessi, il rapporto orizzontale con l'altro, il rapporto verticale del totalmente altro. Guardando all'opposizione polare di Guardini tra interno ed esterno, possiamo dire che l'artista lavora su questa «soglia», che è essenziale allo spazio sacro. In questo senso possiamo parlare di un'esperienza estetica del sublime, che produce un attraversamento inquieto e conduce a una trasformazione radicale dei rapporti fra l'uomo e lo spazio. In reference to James Turrell, we must ask how one treats the analogy of aesthetic and religious experiences. Didi-Huberman talks about «walking in the desert» - that is «walking in the absence» in which seeing sends us to a non-seeing. Turrell, instead, talks about dreams, in which vision appears with closed eyes like a blind man searching — a sort of «active passivity». In this sense, erring leads to an aesthetic experience as creative transformation. Thus, Turrell proposes a pedagogy of «relearning» the act of seeing in the sense of a phenomenology of experience as elaborated by Merleau-Ponty, which we may define as a spiritual exercise in all effects. We may express this sensory participation in space as a liturgical one. Bonaccorso speaks of an original symbolic liturgical space as one that determines a specific way in which we may inhabit space itself, wherein we encounter it as a utopian, eteropic and teleotopic one. This is in accordance with the three unique modes of human experience: the inner relationship to oneself, the horizontal relationship with the other, and the vertical relationship of the totally other. At the polar opposite is Romano Guardini between the inner and outer about which we may say that the artist works within a threshold area which is essential for sacred space. In this sense, we may talk about the aesthetic experience of the sublime, which creates a restless crossing, leading in turn to a radical transformation of the relation between human beings and space.
Contains:Enthalten in: Gregorianum