L' evidenza simbolica del nome: Dal fuoco del roveto biblico alle ceneri della città secolare

Il nome biblico di Dio, come ogni nome, "dona all'altro ciò che ancora non possiede" (Platone, Malebranche, Derrida) se non fosse per l'azzardo del suo "darsi via": ovvero, del suo vivere non più per sé stessi, inaugurando il logos dell'alleanza attesa (Balthasar)....

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Bibliographic Details
Main Author: Cornati, Dario 1963- (Author)
Format: Print Article
Language:Italian
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Published: Glossa 2024
In: Teologia
Year: 2024, Volume: 49, Issue: 2, Pages: 363-375
IxTheo Classification:AB Philosophy of religion; criticism of religion; atheism
NBC Doctrine of God
Description
Summary:Il nome biblico di Dio, come ogni nome, "dona all'altro ciò che ancora non possiede" (Platone, Malebranche, Derrida) se non fosse per l'azzardo del suo "darsi via": ovvero, del suo vivere non più per sé stessi, inaugurando il logos dell'alleanza attesa (Balthasar). Curiosamente, la sua funzione generativa replica, in maniera del tutto evidente, l'aporetica dismisura che Diotima, la prima platonica, rac-coglieva dalle spinte di Penia, alla nascita di Eros (Lacan). Mentre il realismo, che la migliore esegesi gli attribuisce, si iscrive in una drammatica responsabile della creazione e della storia, che è persino l'habitat della sua sincera, e non obsoleta, significazione. Quel nome, in particolare, nella sua eredità profetica è l'indicatore della qualità sostanziale e della promessa originaria di un legame - fra Dio e Dio, fra Dio e il mondo, fra le creature e Dio - che plasma le incertezze della Chora, assegnandole un principio teologale riconoscibile e accendendo nell'umano il garbo del fronteggiamento. Riscattare la qualità simbolica (non solamente referenziale) e l'identità effettiva della nominazione divina, mostrando l'originario dell'affezione che la protegge ("non pronunciare invano"), a dispetto della sua restituzione neoscolastica e della sua versione idealistico-trascendentale (l'idea 'moderna' di Dio) è l'obiettivo di questa rapida incursione.
The biblical name of God, like every name, "gives to the other what it does not yet possess" (Plato, Malebranche, Derrida), were it not for the hazard of its "giving itself away": that is, of its "living no longer for itself", inaugurating the logos of the expected covenant (Balthasar, 1963). Curiously, its generative function replicates in a way, quite clearly, the aporetic disproportion that Diotima, the first Platonic-woman (Lacan), gathered from Penia's thrusts, at the birth of Eros. Whereas the realism that the best exegesis attributes to it is inscribed in a responsible drama of creation and history, which is even the habitat of its sincere, and not obsolete, signification. That name, in particular, in its prophetic inheritance is the indicator of the substantial quality and original promise of a bond - between God and God, between God and the world, between creatures and God - that shapes the uncertainties of the Chora, assigning it a recognizable theological principle and igniting likewise in the human the talent of confrontation. Redeeming the symbolic (not merely referential) quality and actual identity of the divine nomination, showing the original of the affection that protects it ("do not pronounce in vain"), in spite of its neo-scholastic restitution and its idealistic-transcendental version (the "modern" idea of God) is the target of this quick foray.
ISSN:1120-267X
Contains:Enthalten in: Teologia